Associazione Italiana Economisti del Lavoro

XVI Convegno Nazionale di Economia del Lavoro

Abstract dei paper che verranno presentati nella sessione 
Valutazione delle politiche del lavoro / Evaluation of Labour Market Policies and the European Employment Strategy

 

  
Marco Centra, Giovanna Linfante, Emiliano Mandrone

Le determinanti territoriali degli esiti del lavoro temporaneo

L’ultimo dato sul lavoro temporaneo ha evidenziato il sostanziale arresto della crescita dell’occupazione dipendente a tempo determinato, passata in 12 mesi da 1 milione e 403 mila lavoratori del gennaio 2000 a 1 milione e 442 mila dipendenti, pari ad un incremento di meno del 3 %, a fronte del 10 % registrato lo scorso anno. Il lavoro temporaneo rimane tuttavia uno dei principali strumenti di flessibilità in entrata nell’occupazione. Di qui l’esigenza di approfondire l’analisi degli esiti dei contratti a tempo determinato. Il lavoro ha utilizzato il dataset relativo alla Rilevazione trimestrale Istat sulla forze di lavoro e il panel messo a punto dell’Isfol e basato sui medesimi dati.  
Le analisi condotte per la determinazione delle performance individuali hanno evidenziato l’inesistenza di un legame tra gli esiti dei contratti temporanei e le caratteristiche socio-demografiche; questo fattore ha suggerito di spostare l’attenzione sulle caratteristiche territoriali, dove la struttura economica incuba il lavoratore sia prima che dopo essere entrato nel mondo del lavoro, rendendo foriero di occupazione stabile anche l’inserimento temporaneo.
L’analisi è stata condotta tramite una serie di indicatori tradizionali del mercato del lavoro e una serie di indicatori accessori che hanno contribuito ad una più esaustiva identificazione delle determinanti territoriali. In particolare è stato introdotto un metodo di calcolo della mobilità all’interno dei mercati provinciali del lavoro, basato su “indici di entropia” delle matrici di flusso. Una volta osservata la forte relazione inversa esistente tra la quota di contratti temporanei convertiti in contratti “stabili” in 12 mesi e il tasso di disoccupazione, si sono indagate ulteriori determinanti, fondamentalmente relative alla mobilità, che dessero conto della propensione dei mercati del lavoro locali ad assorbire nell’occupazione stabile i contratti temporanei.
  

 

Nicola Massarella, Stefano Santacroce

Occupazione a termine: porta verso la stabilità o trappola della precarietà?

Con l’entrata in vigore della legge n. 196/97 il mercato del lavoro nel nostro paese ha sperimentato un’accresciuta flessibilizzazione, rivitalizzando istituti quali i contratti di formazione lavoro (CFL) e di apprendistato.
Lo scopo principale di questo intervento di carattere contrattualistico, sollecitato tra gli altri dall’OCSE (Employment Outlook, 1998), è quello di favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, visto che sia teorie economiche che analisi empiriche mettono in guardia dai rischi di una prolungata permanenza nello stato della disoccupazione e, per quanto riguarda i giovani, di una troppo lenta transizione scuola-lavoro.
Se da un lato lo scopo primario della diffusione di misure contrattuali atipiche è quello di facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, dall’altro sorge il problema della qualità (in senso lato) dei posti di lavoro creati da queste politiche. In particolare, il dibattito successivo sull’argomento si è soffermato sulla capacità dell’occupazione precaria di costituire un ponte verso la stabilità.
La delicatezza di questo secondo aspetto emerge in contrapposizione ai rischi che una transizione troppo turbolenta, caratterizzata da molte esperienze di breve durata e interrotte da periodi di disoccupazione, possa intrappolare fasce di lavoratori in segmenti marginali del processo produttivo. Tali eccezioni, sollevate dall’OCSE nel 1998 (cfr. Employment Outlook, 1998), sono riprese dall’Istat nel Rapporto Annuale 1999 (cfr. Istat, Rapporto Annuale 1999).
Questo contributo ha lo scopo di analizzare i possibili legami tra la prima esperienza lavorativa, in particolare analizzando il tipo di contratto della prima occupazione, con la posizione attuale. Più in dettaglio, attraverso l’utilizzo di opportuni strumenti econometrici si è cercato di individuare i caratteri personali che maggiormente influiscono nella “scelta” di una determinata traiettoria piuttosto che di un’altra. La fonte utilizzata è costituita dalla Rilevazione Trimestrale sulle Forze di Lavoro (RTFL) dell’Istat, che in occasione dell’indagine relativa al quarto trimestre 1999 ha rilevato informazioni sulla prima esperienza lavorativa quali l’età del primo lavoro, la sua durata, il carattere permanente o temporaneo, oltre al numero di esperienze lavorative maturate dall’intervistato sino alla data della rilevazione.
I risultati evidenziano come il carattere della prima occupazione continui ad influenzare lo sviluppo delle carriere individuali, anche a diversi anni di distanza. Il permanere di questi effetti sottolinea la delicatezza di politiche economiche che incentivano l’utilizzo di contratti atipici per favorire l’entrata nel mercato del lavoro soprattutto dei più giovani.
Le cifre mostrano un quadro preoccupante, seppure, in qualche modo, atteso. L’efficacia di politiche di flessibilizzazione all’entrata, rispetto agli obbiettivi che si propongono, è zoppa. Se da un lato esse sembrano facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, dall’altro non garantiscono il passaggio in tempi ragionevoli ad occupazioni stabili. In particolare, la loro efficacia risulta massima per i segmenti del mercato del lavoro con alto grado di efficienza, mentre per i segmenti caratterizzati da alti tassi di disoccupazione (Mezzogiorno, donne con bassa qualifica, settore primario e, in alcuni casi, i servizi non commerciali) il rischio di rimanere intrappolati nella precarietà diventa consistente.
In realtà, l’analisi mette in evidenza la presenza di un forte effetto di selezione tra individui con caratteristiche diverse, per cui la difficoltà che alcune categorie incontrano a trovare un’occupazione stabile potrebbe essere attribuibile ad una situazione di svantaggio iniziale. La ragione della lentezza della transizione dalla precarietà alla stabilità, allora, sarebbe da ricercare nella selezione che porta ad iniziare l’attività lavorativa con un’occupazione temporanea piuttosto che con una a tempo indeterminato.
Il suggerimento di policy che se ne ricava, pertanto, consiste nell’adozione di misure complementari a quelle di tipo meramente contrattualistico sin qui utilizzate, al fine di migliorare le prospettive di sviluppo professionale delle carriere, in termini di una maggiore stabilità occupazionale, in particolare per le fasce di lavoratori più vulnerabili.

 

Luca Nunziata, Stefano Staffolani

On short term contracts regulation 

In questo contributo analizziamo gli effetti della employment regulation sull'occupazione, sia da un punto di vista teorico che empirico, distinguendo tra lavoratori temporanei e permanenti. Tra le forme di regolamentazione nel mercato del lavoro consideriamo la normativa sui licenziamenti, sui contratti a termine e sulle agenzie di lavoro interinale. L'evidenza empirica, relativa ad un panel di 9 paesi europei, esamina gli effetti di queste istituzioni sull'occupazione totale, giovanile e femminile, distinguendo tra le diverse fasi del ciclo economico. Tra i principali risultati otteniamo che la flessibilità nei licenziamenti porta a sostituzione di occupazione permanente con occupazione temporanea, con effetti non significativi sul totale; la liberalizzazione dei contratti a termine ha effetti positivi sull'occupazione giovanile, sia temporanea che permanente; la liberalizzazione delle agenzie di lavoro temporaneo ha effetti positivi sull'occupazione temporanea ma riduce l'occupazione permanente.

 

G. Barbieri, P. Gennari, P. Sestito

An analysis of the Italian Public Employment Services: Applicants and Job finding effects

The Luxembourg process placed strong emphasis on the reorganisation of the Public Employment Services (PES, henceforth) as essential contribution for a successful reform of labour market. In Italy the transformation of the PES from its traditional bureaucratic role towards modern services is going on but it is proceeding in a rather lengthy and difficult way. Being the reform process at the early stage, this paper explores the decision to enrol to the old PES and its effects in terms of job finding opportunities. The approach we present, applied for the second half of 1999, may also help in the forthcoming future to evaluate the effectiveness of the PES reform.

 

A. Goria, D. Mesini , M. Samek 

Evaluating best practices in the european initiative ‘employment’

This paper develops a qualitative and quantitative analysis of the projects implemented under the European Initiative ‘Employment’ (henceforth CIE) in Italy in order to provide a more rigorous analytical framework for the national evaluation process and to assess which main features may distinguish ‘good quality’ projects.
The paper in particular addresses the effectiveness of those projects identified as best practices by the Italian National Support Structure (henceforth NSS). 
We attempt to answer the following questions:

  1. are the best practices selected by the NSS the ‘best quality’ projects?

  2. which features distinguish the best practices from all other projects?

The evaluation approach developed to answer these questions includes:

  • a qualitative and quantitative analysis of the main distinctive features of the NSS best practices relative to all other projects

  • a quantitative analysis on the determinants of ‘good quality’ projects within the whole projects’ sample.

The qualitative analysis aims at identifying key success indicators and at comparing these indicators between the NSS best practices and all the other projects. The crucial elements investigated relate to the nature of the activities developed, to the characteristics and to the number of final and possibly intermediate beneficiaries reached by the projects, to their drop-out rate, to the kind of innovation realised, to the extension and to the nature of the local/regional/national and transnational partnerships created, to the mainstreaming effects and the sustainability dimension of the projects. The inter-relationships among all these features is explored and the possible trade-offs between candidate elements for the success of the ‘good practices’ are addressed.
The quantitative approach to the analysis of the NSS best practices includes a cluster analysis approach, which aims at identifying patterns  of success across projects, and a maximum likelihood estimation approach, which estimates which factors mostly influence the probability that a project falls into the class of the NSS best practices. In addition both maximum likelihood estimation and ordinary least squares techniques are used to estimate which influence selected projects’ characteristics and distinctive features play on some ‘good performance indicators’, such as the probability of the absence of drop-outs among the final beneficiaries and the number of new jobs created by the projects. 

 

Y. Flückiger, G. Ferro Luzzi, J. Ramirez, A. Vassilev

Performance Measurement and Determinants of Inefficiency of Regional Employment Offices : A Non-parametric Frontier Analysis for Switzerland

Since 1996, the Swiss federal authorities have shifted their unemployment policy from a “passive” income maintenance program to active labour market measures aiming at a faster reintegration of the unemployed into the labour market. Simultaneously, local public employment offices have been merged into regional employment offices (REO) which are to be evaluated according to performance in achieving their goal of fast and durable reintegration of their registered job seekers.
In this paper, we carry out an econometric evaluation of the REOs' performance based on production efficiency measures.
The REO are viewed as firms producing multiple outputs, namely unemployment duration and the frequency of repeated unemployment spells in the area covered by the REO, and using multiple inputs like the number of job advisers and the number of registered job seekers.
Our analysis is based on the estimation of a deterministic flexible multiple input / multiple output frontier production function consistent with optimizing behaviour of REO. Departures from the frontier are interpreted as inefficiencies. We use Data Envelopment Analysis (DEA) techniques to estimate the performance of all REO and then use a tobit model to ascribe performance differences among different REO to their management practice and external environment (like labour market conditions or the proportion of foreign workforce).
Our evaluation approach and the ranking of REO may easily be interpreted by policymakers and provides guidelines for raising the efficiency of public employment services. The data consist of 156 REO in Switzerland for the years 1998 and 1999. Our results suggest that regional employment offices could achieve sizeable increases in output levels through better management. We also find that differences in the external operating environment, such as socio-economic factors, have a significant influence upon the efficiency of REO in Switzerland.

 

Fabrizia Mealli, Sara Mele, Roberto Pagni

La valutazione della LR 27/93 a sostegno dell’imprenditoria giovanile in Toscana

La relazione presenta alcuni dei principali temi affrontati in una ricerca valutativa sull'intervento della Regione Toscana a sostegno dell'imprenditoria giovanile (L.R. 27/93).
La ricerca s’inserisce nel filone della "valutazione come processo di apprendimento", con l'obiettivo di apportare maggiori conoscenze al dibattito in corso sugli effetti della legge in oggetto e, più in generale, sugli strumenti d’intervento che associano politiche attive del lavoro e politiche per le imprese.
La ricerca è stata divisa in tre fasi. La prima consiste nell'analisi del processo decisionale alla base dell’impostazione della politica, la quale comporta anche l’individuazione degli attori principali in gioco e degli obiettivi espliciti ed impliciti del legislatore, in base ai quali vengono identificate le variabili obiettivo.
La seconda è quella dell’analisi di performance, con la quale si vuole render conto di come sono state impiegate le risorse pubbliche, per cui l’obiettivo è quello di analizzare cosa è stato fatto con l’intervento e soprattutto come. L’oggetto di questa fase è l’analisi della procedura di erogazione del finanziamento, l’analisi dell’accoglienza dell’intervento da parte dei potenziali beneficiari e la descrizione dei risultati raggiunti in termini di imprese finanziate.
La terza parte, infine, è dedicata all'analisi d'impatto della politica. Un primo effetto analizzato è stato la capacità di sopravvivenza delle imprese finanziate. La metodologia utilizzata nell’ambito della valutazione d’impatto è di tipo quasi sperimentale: è stato effettuato un confronto, tramite un’analisi longitudinale, dell’insieme dei beneficiari del periodo 1995-1999 (gruppo di trattamento), con un insieme di imprese non beneficiarie dell’intervento nate nello stesso periodo (gruppo di controllo), costruito a partire dall’archivio InfoCamere.
Sono state inoltre studiate altre tipologie di impatto (l'offerta di finanziamenti a giovani imprenditori, lo sviluppo di autoimprenditorialità all'interno di vari gruppi sociali) attraverso un’analisi comparativa delle caratteristiche degli imprenditori e delle imprese. Tale analisi è stata realizzata attraverso un’indagine diretta su tutti i beneficiari dell’intervento regionale per il 1999 e su un campione di nuove imprese non beneficiarie nate nello stesso anno.
Per ogni fase saranno indicati i procedimenti seguiti e i risultati ottenuti, nonché le problematiche riscontrate dal punto di vista metodologico.

 

Bruno Contini, Francesca Cornaglia, Claudio Malpede, Enrico Rettore

L’impatto occupazionale dei Contratti di Formazione Lavoro nel perido 1986-1996

 

Floro. E. Caroleo, Francesco Pastore

How fine targeted are active labour market policies in Italy?

Active labour market policies have been introduced in Italy during the 1990s. In few years, their share has become higher than that relative to income support schemes in favour of job losers for economic reasons (Cassa integrazione e guadagni and Sussidi di mobilità) in terms of expenditure. Quite absent are unemployment insurance schemes in favour of job quitters, new entrants and re-entrants, despite the very high average unemployment duration. The trend of increasing expenditure for active interventions and decreasing passive support is confirmed by the most recent figures. According to OECD data, from 1996 to 1999, the expenditure within active schemes has risen as a share of GDP from 1.07 to 1.1 per cent, whereas the expenditure in passive schemes has fallen from 0.87 to 0.64 per cent. 
The composition of expenditure in active measures is evenly distributed between employment support schemes (0.53 per cent of GDP in 1999) and training or training and work schemes (0.52 per cent). Moreover, from 1996 to 1999, due to the opposition of EU authorities, youth training and work schemes (especially Contratti di Formazione e Lavoro)  have reduced their relevance (from 0.41 to 0.27 per cent of GDP), in favour of adult training schemes (from 0.01 to 0.25 per cent of GDP) in terms of expenditure. Public employment services can rely only on 0.04 per cent of GDP, as a consequence of the abolition by law of the monopoly role of Public Employment Offices in matching labour demand and supply, in favour of private offices. 
During the 1990s, along with an increasing role of training schemes and a sharp reduction in the role of the State as agent within the labour market, a massive expansion of part-time and temporary work has been fostered by various interventions, culminated in the Treu Law in 1997. In 1999, temporary contracts explained over 50 per cent of the overall employment growth. The reducing constraint for firms to hire temporary and part-time workers has been mainly aimed at providing young workers with work experiences, i.e. on the job training in order to favour their employability in permanent jobs. 
Despite the dramatic changes happened in the Italian labour market over the 1990s, very few attempts have been made to evaluate the effectiveness of active labour market policies. One of the reasons is the tendency of the National Statistical Office (ISTAT) not to release flow data based on the Italian Labour Force Survey, the only data source available that is capable to reveal the effect of training schemes in increasing the job finding rate and, hence, reducing unemployment duration, among the highest world-wide. 
The aim of this paper is to provide in particular an evaluation of the first pillar in Italy’s National Action Plan (NAP) for 2000 that states the main objective of the government is to reduce the unemployment differential between young and adult workers without disregarding the existence of internal massive unemployment differentials. From a macroeconomic point of view, we will show that Italian labour market is effectively characterised by a waste of human capital and there is need to improve training, education systems and to enhance work and training contracts, stages, work scholarships etc to upgrading the human capital endowment of less favoured groups of workers and in the less developed regions. 
On the other hand, we provide new evidence at a micro-econometric level, based on an ad hoc survey on Youth Unemployment and Social Exclusion realised under the auspices of the EU Targeted Socio-Economic Research Programme. We have got detailed information, sometimes more detailed than those the ILFS would provide, on a sample of young long term unemployed living in two regions with a very different unemployment rate: Campania (about 27% in 1999) and Veneto (about 2.7% in 1999). 
The sample is drawn from the enrolment lists of the Public Employment Office among youths aged between 19 and 24 with at least 3 months of enrolment in 1999. Individuals are then interviewed a year later. This peculiar way of collecting the data is important to our aims, as it let us simulate a longitudinal structure and measure annual flows based on quasi-current data. Information on past work experiences at any six months in the past for ten years provides the information necessary to measure the duration variable that we use in survival models to estimate the probability of job finding conditional on duration within a given labour market status. Other information, contained in the interview, allow us to control the results for the structure of  family unit, gender and educational levels.
The main results of the analysis is that the present structure of ALMPs is not effective in increasing the probability of young participants. There is room to argue in a labour market characterised by mass unemployment, as it is the case in particular for Southern Italy, participation to training and work schemes is unable to relevantly affect the employability of young inexperienced workers. 

The intuition of the government, stated in the NAP 2000, to reform and invest more in the education and training systems should be correct.  On the other hand our hypothesis is that active labour market policies in Italy: a) are not well targeted to the bulk of Italian unemployment, i.e. low skill, young, long term unemployed women living in the South; b) and have been more effective in increasing the employability of workers in areas where the unemployment rate is already low and mismatched unemployment is only a small part of total unemployment. It seems, therefore, a particular institutional and financial poverty characterises the Italian labour supply policy

 

R. Caliendo, M. Hujer, D. Radic

Nobody knows … How do different evaluation estimators perform in a in a simulated labour market experiment?

The need for evaluation of active labour market policies is no longer questioned. Recent overviews of microeconometric evaluation studies for Germany have shown substantial differences regarding the estimated effects of these measures. Whereas most of the differences might be due to different data sets used or different time periods examined, some of the variation is induced by different evaluation approaches. It is obvious, that nobody knows the real extent of the programme effects, making it hard to assess the quality of different estimation techniques.
The aim of this paper is twofold. In the beginning we present four different evaluation strategies and discuss the methodological concepts associated with them. Whilst presenting the methodological concepts of each estimator, we will also discuss the data needed for their implementation. By doing so, we hope to give advice for the construction of datasets in the future. Then we perform a simulated labour market experiment, which allows us to control and estimate all relevant effects. We are going to show how the different estimators perform under different conditions. The experiment is designed to take into account observable as well as unobservable characteristics in determining the labour market success and the participation decision of individuals. This design enables us to show the (dis-) advantages of each estimation technique and present the environments under which they work best.

 

Adriano Paggiaro, Ugo Trivellato

Assessing the effects of the “mobility lists” programme by flexible duration models

In 1991 a new programme was introduced in Italy to handle collective redundancies in the labour market. The programme, known as “Mobility Lists”, combines income support to eligible dismissed employees with substantial benefits to the employers who hire them. Benefits, both for workers and firms, vary mainly according to dismissing firm size and age at dismissal, and ceteris paribus are larger for older workers.
We use data from an administrative database for the Veneto region, for the period January 1995-March 1999. Our focus is on the differential effects of various programme treatments – the more generous packages of benefits for workers aged 40 to 49 years with respect to those for workers under 40 – on the probability for workers to move from unemployment into a permanent job. We pay considerable attention to the specification of flexible duration models, in order to capture some important features of the programme and to estimate the profile of the differential effects over time.

Some findings emerge neatly. Older workers, who can enjoy longer packages of benefits, have a significantly lower chance to move to employment than their younger colleagues. These differential effects vary appreciably with the time spent in the lists, and are much higher when younger workers approach the exhaustion of the benefits. Besides, the profile of the differential effects varies according to gender. Interestingly enough, differential effects are found also for registered workers dismissed by small firms, for whom the packages of benefits do not include the benefit transfer component.

 

G. Barbieri, P. Gennari, P. Sestito

Formazione privata e formazione pubblica: differenze e similitudini nel pattern di partecipazione ed implicazioni per la valutazione delle politiche pubbliche

Il problema classico della valutazione delle politiche pubbliche è dovuto al fatto che i beneficiari differiscono dalla popolazione complessiva per via degli stessi meccanismi selettivi (ed autoselettivi) delle politiche, che si rivolgono in genere a platee di soggetti svantaggiati. Le successive chances occupazionali dei beneficiari delle singole misure potrebbero perciò dipendere non solo dall’attuazione delle politiche, ma anche dalla peculiare composizione della sub-popolazione trattata, che differisce rispetto a caratteristiche non sempre osservabili e misurabili dal resto della popolazione.
Nel caso della formazione professionale, lavori precedenti hanno messo in luce come i partecipanti, a parità di altre condizioni (età ed altri fattori demografici), tendano ad avere un livello di istruzione mediamente più elevato dei loro coetanei. La formazione professionale per i non occupati, inoltre, tende ad essere un momento dell’iter formativo e scolastico più che un canale d’accesso al mondo del lavoro: molto spesso, infatti, i giovani che partecipano a un corso di formazione professionale, ritornano alla sua conclusione nel sistema educativo di base.
Una dimensione ancora poco esplorata in Italia del mondo della formazione è invece la distinzione tra corsi pubblici, facenti capo alle Regioni e rientranti nell’ambito delle politiche pubbliche da valutare, e corsi privati, a cui i soggetti partecipano a seguito di decisione propria o dell’azienda presso la quale sono occupati.
In questo lavoro verrà caratterizzata meglio questa distinzione, evidenziando quanto i partecipanti all’una ed all’altra tipologia di attività formative differiscano, tenendo conto di fattori standard quali età, sesso, titolo di studio e condizione occupazionale. In tale modo si evidenzierà quanto le modalità operative delle politiche pubbliche in tema di formazione differiscano dagli assetti privatistici, eventualmente controbilanciando le tendenze selettive del mercato.
Nel presupposto che i partecipanti ad attività formative pubbliche e private possano comunque essere caratterizzati da una simile attitudine soggettiva verso la partecipazione ad attività formative, quanto meno comparativamente rispetto ai non partecipanti, il confronto tra i due gruppi di partecipanti, a parità di altri fattori rilevanti, verrà anche adoperato per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche in termini di miglioramento delle successive chances occupazionali.
L’analisi di efficacia degli interventi di formazione professionale richiede il confronto degli esiti occupazionali tra i soggetti formati e un gruppo di controllo di non formati. Nell’ambito di un’approccio sperimentale tale valutazione viene effettuata considerando non solo gli allievi ammessi ai corsi, cioè coloro che hanno superato la selezione iniziale, ma anche tutti coloro che hanno presentato domanda di partecipazione e che costituiscono il bacino potenziale di utenza. 
Nell’ambito di un approccio non sperimentale, invece, è necessario fare ricorso a una fonte diversa da quella amministrativa (in generale di tipo statistico) e identificare il campione di controllo  con cui paragonare il gruppo dei beneficiari. Queste scelte metodologiche sono di importanza fondamentale nella determinazione dei risultati.
In questo lavoro l’approccio seguito per la costruzione del gruppo di controllo  prevede l’utilizzo di tecniche econometriche basate sull’uso del propensity score, secondo la metodologia proposta da Rosenbaum e Rubin (1985). Il confronto degli esiti occupazionali degli individui beneficiari di attività formative e un gruppo di confronto di non partecipanti a corsi di formazione deve essere infatti condotto tenendo conto degli effetti dipendenti dall’autoselezione del campione sottoposto a trattamento. Le tecniche che in generale consentono di effettuare stime degli effetti di un trattamento utilizzano il propensity score come variabile che riassume l’informazione sulla partecipazione in base ad un set di variabili osservabili. 
In questo senso attraverso l’uso di dati longitudinali dell’indagine trimestrale Istat sulle forze di lavoro è possibile effettuare una valutazione dell’impatto della formazione professionale isolando l’effetto della formazione sulla probabilità di essere occupati dagli effetti dipendenti dall’autoselezione del campione. Considerando come campione di riferimento i giovani inoccupati tra i 15 e i 29 anni  viene effettuato il confronto, a un anno di distanza della partecipazione ai corsi,  tra il gruppo dei partecipanti e un gruppo di confronto. 
Al fine di valutare l’impatto dei corsi sulla probabilità di essere occupato sono stati costruiti panel abbinando individui che al momento dell’intervista erano inoccupati, avevano svolto corsi della durata di almeno 6 mesi e che nell’anno successivo non frequentavano più corsi di formazione. Per ovviare a problemi di numerosità campionaria si è tenuto conto dei panel annuali relativi  agli anni 1999-2000 e 2000-2001.

 

Cristina Berliri, Carmine Pappalardo

La valutazione di efficacia dei corsi di formazione una stima degli impatti  occupazionali netti

Gli interventi di formazione professionale realizzati dalle regioni - la formazione di primo e secondo livello rivolta ai giovani e gli interventi formativi indirizzati ai disoccupati e ad altri soggetti a rischio di esclusione sociale - si pongono tra gli obiettivi prioritari la facilitazione dell’accesso al mercato del lavoro. Al fine di indagare le caratteristiche degli utenti dei corsi di formazione finanziati dalle regioni e quantificare l’impatto netto degli interventi sulla probabilità individuale di inserimento occupazionale, si è fatto ricorso alle indagini realizzate da alcune regioni del Centro Nord sugli esiti occupazionali dei corsi di formazione e alla indagine ISTAT sulle forze di lavoro. Il campione Istat, depurato degli individui che avevano svolto attività formative nel mese precedente l’indagine, e le indagini regionali sono stati utilizzati per costruire un unico campione di indagine, stratificato in base alla scelta di partecipare o meno ad attività formative regionali.
Lo scopo di questo lavoro è duplice. Innanzitutto si intende analizzare la composizione della popolazione in cerca di occupazione coinvolta in interventi formativi; in secondo luogo identificare l’impatto netto dei corsi di formazione professionale sugli esiti occupazionali, tenendo conto dei possibili effetti di autoselezione e di selezione del campione, connessi rispettivamente con la decisione individuale di seguire i corsi e con la selezione delle domande di partecipazione da parte degli enti attuatori. Il lavoro si prefigge inoltre di analizzare il ruolo dei corsi di formazione professionale rispetto alla riduzione del divario esistente tra uomini e donne nelle opportunità di inserimento lavorativo.
Il confronto tra le caratteristiche dei formati e le caratteristiche del complesso degli individui in cerca di occupazione che rappresentano il bacino di utenza potenziale fornisce informazioni interessanti sulla capacità degli interventi formativi di intercettare le diverse tipologie di utenza. La stima dell’impatto netto della formazione professionale sulla probabilità di trovare un impiego fornisce una prima misura dell’efficacia di questo strumento di politica attiva del mercato del lavoro. 
L’analisi si basa su  un campione panel ricostruito dall’ISFOL a partire dai microdati longitudinali dell’ISTAT sulle Forze di Lavoro e dalle indagini regionali che rilevano informazioni sui singoli partecipanti ad attività formative al momento di iscrizione e ad un anno dalla conclusione del corso. Il panel sulle Forze di Lavoro consente di identificare gli individui che hanno seguito un corso di formazione nel mese precedente la prima rilevazione e di analizzare per tutti gli individui in cerca di occupazione la condizione occupazionale ad un anno di distanza. Similmente, le indagini sugli esiti consentono di analizzare la situazione occupazionale ad un anno dalla conclusione dell’intervento.  Sulla base di questi dati, utilizzando un modello di selezione stocastico con “switching” endogeno, stimiamo per tutti gli individui in cerca di occupazione la probabilità di trovare lavoro sia nel caso seguano un corso di formazione professionale che nel caso contrario. Il modello consiste di due equazioni, rispettivamente per la condizione occupazionale dei formati e dei non formati, e di  una funzione di scelta che cattura il processo decisionale inerente alla partecipazione ai corsi di formazione. Siamo così in grado non solo di stimare l’impatto netto dei corsi di formazione sugli effettivi destinatari, ma anche di indicare l’impatto potenziale dei corsi sugli esiti occupazionali degli individui che non vi hanno effettivamente partecipato.
In assenza di dati sperimentali in grado di fornire una situazione controfattuale non distorta da meccanismi di auto selezione, la stima della funzione di scelta consente di tenere conto di differenze inosservabili tra i destinatari effettivi degli interventi e i destinatari potenziali. Il problema dell’auto selezione del campione discende dal fatto che a monte degli esiti occupazionali osservati rispettivamente per i formati e per i non formati, vi è la scelta che gli individui compiono di seguire un corso di formazione, scelta che non è esogena rispetto agli esiti occupazionali. Possiamo infatti ritenere che alla base di tale decisione vi sia il confronto tra le probabilità di occupazione potenziali corrispondenti alle due alternative (seguire o non seguire un corso). Inoltre, in molti casi, alla decisione degli individui di partecipare si sovrappone il processo di selezione degli enti attuatori dei corsi.
Il problema di autoselezione può essere considerato un problema di stratificazione endogena del campione. Una caratteristica del campionamento stratificato endogenamente è quella, in generale, di non preservare la regressione. La presenza del meccanismo di autoselezione ha dunque l’effetto di introdurre non linearità nella relazione tra variabile dipendente e variabili esplicative. Il meccanismo di correzione della selection bias si basa sulla stima della distorsione tramite l’inverso del rapporto di Mill.
Il metodo utilizzato, riconducibile al lavoro seminale di Heckman, consente di supplire alla mancanza di un gruppo sperimentale di controllo che permetta la costruzione di una situazione controfattuale con cui confrontare gli esiti dei trattati. La correzione della distorsione dovuta ai meccanismi di autoselezione si basa sulla stima del propensity score.  Metodi di stima parametrici e non parametrici per la stima della funzione di scelta sono messi a confronto.
La probabilità di appartenere al gruppo dei formati viene stimata per ogni individuo appartenente al campione utilizzando variabili relative alle caratteristiche anagrafiche, al contesto territoriale, e al contesto familiare. In particolare, la caratteristica dell’indagine sulle Forze di Lavoro di utilizzare la famiglia come unità di rilevazione ha consentito di ricostruire ed utilizzare variabili di background familiare presenti anche nelle indagini regionali e di particolare rilevanza nella stima della funzione di scelta individuale.

 

Fabio Rapiti, Patrizia Rinaldi

La costruzione di una banca dati d'impresa per il monitoraggio di alcune politiche del lavoro: problemi di qualità e primi risultati (comunicazione)

L'utilizzo da parte dell'Istat di micro dati d'impresa derivanti dalle dichiarazioni contributive mensili DM10 INPS, oltre a fornire informazioni di base di carattere congiunturale e strutturale sul lavoro (occupazione dipendente, retribuzioni lorde, costo del lavoro), può consentire di approfondire alcuni aspetti poco esplorati del mercato del lavoro italiano, ad esempio, il monitoraggio di peculiari politiche del lavoro.
In Italia una parte rilevante delle politiche finalizzate alla crescita occupazionale o a favore delle imprese implica incentivi alle assunzioni. I provvedimenti che incentivano le imprese ad assumere soggetti appartenenti, in genere, a categorie che hanno specifiche difficoltà d'inserimento o reintegrazione nel lavoro sono molto numerosi e nella gran parte dei casi implicano delle agevolazioni di tipo contributivo. Per tale ragione la fonte informativa più rilevante per il monitoraggio di tali provvedimenti è l'INPS che pubblica e fornisce al Ministero del Lavoro alcuni dati aggregati con un certo ritardo.
Le informazioni necessarie ad un monitoraggio completo degli incentivi alle assunzioni sono molto numerose (stock e i flussi sui beneficiari delle politiche, imprese e lavoratori, costi, ecc.). I micro dati, provenienti dagli archivi INPS (DM10) trattati in modo adeguato dall'Istat possono consentire di approfondire esclusivamente alcuni aspetti ma, in modo molto approfondito e con una relativa tempestività.
Le informazioni possibili da desumere dal modulo DM10 per ogni singola impresa, riguardano il numero di lavoratori coinvolti (assunti) e il beneficio in termini monetari. Le misure d'incentivazione presenti sono: apprendistato, gli apprendisti trasformati e assunzione di giovani in possesso di diploma o attestato di qualifica, assunzioni con contratti di formazione e lavoro (per tutte le possibili modalità), assunzioni di lavoratori già assunti con CFL miranti all'acquisizione di professionalità intermedie od elevate, disoccupati assunti con contratti di reinserimento, assunzioni di lavoratori disoccupati o in CIGS da almeno 24 mesi, assunzioni di lavoratori disoccupati o in CIGS da almeno 3 mesi, assunzioni di lavoratori in mobilità, contratti di solidarietà interna, contratti di solidarietà esterna, assunzioni di lavoratori socialmente utili, assunzioni di giovani durante o al termine della Borsa Lavoro, assunzioni di giovani durante o al termine del piano di inserimento professionale, assunzioni di lavoratori svantaggiati nelle coop. Sociali, reinserimento dirigenti disoccupati nelle PMI (<250 addetti).
I dati originari si riferiscono esclusivamente a stock mensili ma, poiché, si dispone di tutti i 12 mesi di ogni anno è possibile stimare in modo sufficientemente corretto anche i flussi sulla base degli stock.
Tenendo conto che é possibile ricostruire le imprese, a partire dalle posizioni contributive, e la correzione o attribuzione del codice di attività economica Ateco 91 esatto, le informazioni circa le misure possono essere elaborate con un dettaglio, che riguarda diverse variabili d'impresa:

  • il settore di attività economica (ATECO a 5 digit),

  • la classe dimensionale.

Abbinando tali informazioni con l'archivio delle imprese costruito dall'Istat ASIA è possibile utilizzare anche altre informazioni:

  • forma giuridica,

  • classe di volume d'affari,

  • età dell'impresa.

E' importante segnalare che è possibile organizzare tali basi di dati in forma longitudinale. In teoria, è possibile costruire l'archivio dell'intero universo delle imprese INPS ogni 36 mesi dal gennaio 1996 al dicembre 1999. L'aggiornamento di tale archivio potrebbe essere effettuato semestralmente, in modo tale che a luglio 2001 dovrebbero essere disponibili i primi sei mesi del 2000 ed a gennaio 2002 il secondo semestre del 2000.

In questo paper si presentano la metodologia di costruzione della banca dati, alcuni problemi di qualità ed i primi risultati per alcune misure di incentivazione.

 

Guido Van der Seypen

European-wide evaluation of the employment strategy 

I.  The European Employment Strategy (EES) :

 A - "LUXEMBOURG PROCESS"

B - EMPLOYMENT GUIDELINES

II.  FACTS ON LABOUR MARKET PERFORMANCE IN THE EU

III. FACTS ON POLICY IMPLEMENTATION IN THE EU

IV. IMPACT EVALUATION OF THE EES:

 A - OVERALL OBJECTIVES AND APPROACH

 B - OVERVIEW OF ONGOING RESEARCH IN MEMBER STATES

 C - COUNTERPARTS AT THE LEVEL OF THE EU COMMISSION

 D - TIMETABLE AND WAY FORWARD

 

   

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Realizzato da Lia Ambrosio - Aggiornato al 25 settembre 2001